lunedì 6 aprile 2009

Quanto possiamo ancora sopportare?

Dopo aver speso la propria vita dedicandosi ad un lavoro (qualunque esso sia stato) per dare alla propria famiglia, ai propri cari, un'esistenza dignitosa, che permettesse di trascorrere una vita degna di questo nome ti ritrovi, di punto in bianco, con un verdetto di colpevolezza e di morte in mano: DI COLPEVOLEZZA perchè, da ragazzo (io avevo 16 anni o poco più) decisi, su consiglio di certi amici di famiglia, di intraprendere la vita militare e, questo, ha fatto di me un colpevole tant'è che sono considerato "diverso" da come sarei potuto essere. Fu una decisione presa sulla base della maturità di quell'età e cioè scarsa. Ma, anche allora come oggi, il lavoro scarseggiava. Studiavo all'istituto elettrotecnico "E.Fermi" e pensavo che, quel diploma, potesse garantirmi un'occupazione. No, non era così. Da qui la decisione che mi avrebbe fatto trascorrere in Marina una lunga fetta di vita. Pesante, sia dal punto di vista lavorativo che psicologico. Una vita che non ti lasciava possibilità di programmare un futuro, una tua vita privata. Oggi eri qui e domani là. Dopodomani chissà. E poi il lavoro: buttato nelle viscere della nave, davanti a una caldaia bollente e puzzolente di nafta pesante, a 60°C di calore (d'inverno) dove, a causa del mare in burrasca e del puzzo, buttavi fuori quello che nello stomaco non avevi, buttavi fuori l'anima. E, senza saperlo, respiravi IL NEMICO!Da qui il verdetto di MORTE! L'amianto era in ogni dove. Tubi di ogni dimensione ne erano rivestiti. Le vibrazioni degli organi meccanici si trasmettevano ad essi che, a loro volta, rilasciavano la maledetta polvere che iniziava a ficcarsi e a minarti i polmoni. Se solo avessi saputo! Oggi quella mia scelta è diventata un sinonimo di colpevolezza: "e chi ti ha detto di fare il militare?" E' vero, sono colpevole! Lo sono forse come il ferroviere o il muratore che montava i tetti in eternit o all'operaio che estraeva amianto dalle viscere della terra. Tutti colpevoli alla stessa maniera e con lo stesso verdetto di morte in mano. Perchè, cari amici, l'amianto, non facciamoci illusioni, non lascia scampo! E' una bomba a tempo! Sei già morto anche se cammini ancora! E sei morto anzi, torturato, perchè il tarlo ti è entrato nel cervello e non ti molla più. Cerchi di non pensare e poi, come una mano invisibile che ti afferri, sei di nuovo li a pensare. Io lo faccio più volte al giorno, anche mentre sono al lavoro ma, purtroppo, il momento peggiore arriva la notte: mentre sei li che tenti di prender sonno la mente vaga e torna al passato e lo collega al presente e tu sbarri gli occhi e ti domandi:"perchè proprio a me?" E la vita non è più vita e allora ti circolano nella mente pensieri lugubri che tenti di scacciare e non ci riesci perchè la mano invisibile è sempre lì che non ti concede un attimo di tregua. Quanto, quanto a lungo questo calvario? Giorni, anni? Quanto a lungo dovrò ancora gridare la mia disperazione che non giungerà mai a coloro che mi hanno messo in queste condizioni e, come me, centinaia di miei ex colleghi partiti per un viaggio senza ritorno. L'ultimo! Silenziosi protagonisti di una tragedia che lo Stato vuole fortemente ignorare. Loro sono andati via con dignità, con doverosa compostezza come, durante la Loro carriera militare, era stato Loro insegnato: niente proteste, niente ribellioni, solo il dovere! E Loro hanno obbedito fino in fondo, con dignità lasciando nel dolore e nello sconforto figli e mogli dignitosi. Di tutta questa tragedia parlerò ancora a lungo. Conoscerete particolari che vi faranno gridare, increduli, allo scandalo!
Pietro Serarcangeli

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