domenica 26 aprile 2009

Qualcosa che avevo dimenticato..............

Cari amici,
qualcuno dei miei compagni del Corso VO 1966 sicuramente si riconoscerà in quello che sto per scrivere. Quando arrivai il 7 settembre 1966 a Mariscuole La Maddalena ero poco più che diciassettenne. Le Scuole "Domenico Bastianini" ospitavano gli allievi Meccanici (dei quali avrei fatto parte), gli allievi Motoristi e quindi, separati da noi, gli allievi Furieri contabili e Furieri sussistenza che noi chiamavamo "signorine". Per contro loro ci chiamavano "topi di fogna". Nella Scuola "Faravelli" che si trovava verso Caprera rispetto a noi, frequentavano i corsi gli allievi Nocchieri, Nocchieri di Porto e Palombari, se non ricordo male. Così, un paio di giorni dopo l'arrivo ci fu la "cerimonia" della vestizione. Ci consegnarono il corredo militare e consegnammo i nostri abiti civili. Così iniziava una nuova vita. Dura, molto dura per un ragazzo della mia età. La sera, a letto, pensavo ai miei genitori, così lontani. La tristezza e la nostalgia mi assalivano ma l'orgoglio prevaleva. Mai e poi mai sarei tornato sui miei passi. Avrei provato a quelli che dicevano che non avrei resistito, che si sbagliavano. Io avrei fatto quel percorso, in ogni caso. Quante lacrime ho versato! Era veramente dura. Il problema più grande era il cibo. Veramente schifoso! Pensate che nell'enorme cucina delle scuole troneggiava l'"Osso di Mammut". Chiamavamo così un osso gigantesco (doveva essere di un grosso bovino) che era stato appeso al soffitto della cucina tramite una catena appesa ad una carrucola, al di sopra di un "caldaio", una sorta di pentolone enorme dove comodamente potevano entrare quattro persone. Il caldaio veniva riempito d'acqua e, quindi, quando iniziava a bollire l'osso veniva calato nel pentolone per un certo tempo. Quello era il brodo! Ma il bello era che, una volta tirato su e raffreddatosi, l'osso si ricopriva di mosche fino a diventare nero! Era veramente uno schifo! Così era pronto per la volta successiva. Non è fantascienza ma la pura verità! In qull'anno di corso avevo fatto l'abbonamento con lo spaccio. Mi nutrivo di biscotti e, quando me lo potevo permettere, andavo a mangiare fuori. Una pizza, un panino e, a volte, un ristorante modesto. La libera uscita, se si era meritevoli, poteva esserci il giovedì, il sabato e la domenica. La Maddalena non offriva granchè.Potevamo permetterici una passeggiatina, un bagno nello splendido mare ma niente di più. D'inverno poi era un mortorio. Alle scuole la vita era la classica di un istituto militare: Sveglia all'alba, assemblea nel piazzale e appello, un'ora di ginnastica, doccia, vestizione e, di corsa,a colazione. Alle otto in punto iniziavano le lezioni per coloro che non erano comandati di altri servizi: guardie, le più disparate, pulizie etc.. etc.. Le lezioni terminavano all'una. Quindi di nuovo assemblea, appello e poi a pranzo, per chi riusciva a mangiare quella schifezza. Dopo pranzo si tornava in classe per lo studio obbligatorio fino alle 16,30. Fortunatamente a luglio dell'anno successivo il corso era terminato e lasciavamo l'isola. Qualcuno sarebbe tornato, molti avrebbero scelto altre strade. Io ero stato destinato ad imbarcare sul CASTORE a La Spezia il 21 agosto del 1967. Credevo di aver lasciato un brutto posto ma, l'inferno stava per iniziare...........

domenica 19 aprile 2009

Con la mia firma avevo "regalato" sei anni della mia vita alla Marina Militare. Questo era il periodo minimo di ferma volontaria. alla fine dei sei anni ero un giovane sergente (il grado dovevi guadagnartelo con le giuste "note caratteristiche", in altre parole dovevi essere idoneo sotto ogni profilo)che doveva prendere una decisione: congedarsi o rimanere! Certo che con sei anni(circa) d'inferno alle spalle la mia decisione era tutta orientata al congedo. Mi ripetevo che mai più avrei vissuto una tale esperienza, mai più. Ma qualcuno, più furbo, aveva già previsto tutto! Otto mesi prima dello scadere dei sei anni fui sbarcato dal Castore e inviato alla frequenza di un "Corso Antincendio" presso la Scuola Centrale Antincendi del Ministero dell'Interno a Roma. Quindi, dopo tre mesi di corso fui destinato alla base di elicotteri di Luni, vicino a Sarzana, meglio conosciuta come "Maristaeli Luni". Credevo di toccare il cielo con un dito. Era un sogno o era vero? Vero, era vero. Non più puzzolenti caldaie e nafta pesante, non più pavimento instabile e ferro in ogni dove e non più.......amianto! A Luni si respirava un'aria di beatitudine. Piste di volo circondate dal verde, belle infrastrutture, logistica eccellente etc.etc. Certo, qualche fetente gravitava anche in loco. Ma si sa, dalla vita non si può avere tutto. Così arriva il momento della grande decisione: vado o resto? Resto, resto. E giù un'altra firma (che, nonostante tutto non mi sono mai pentito di aver messo). Così si riparte. Nel frattempo qualcosa stava succedendo. Le lunghe ore passate in locale caldaie sul Castore avevano lasciato il segno. Un'otite, fino allora leggera, comincio a riacutizzarsi. Nel frattempo mi trovavo già a La Maddalena, in Sardegna dove dovevo frequentare il corso "IGP" (Istruzione Generale Professionale)e, quindi, dovevo studiare sodo. Mi si stava gonfiando la parte destra del viso. Il mio capo inquadratore (colui che curava sotto l'aspetto disciplinare e generale un gruppo di allievi, in genere 20) appena mi vide, quel mattino di sabato dell'ottobre 1972 mi spedì subito in infermeria. Il medico di turno mi fece ricoverare presso "Marinferm La Maddalena". Per coloro che non sono avezzi a certi termini spiego: un "marinferm" è poco più di un grande ambulatorio, una sorta di piccolo ospedale. Questo, in particolare, era gestito da suore. Iniziavano i guai. Quando, accompagnato dall'ambulanza, arrivai sul posto (marinferm La Maddalena) non c'era nessuno. Era sabato e ognuno pensava ai fatti suoi. Non ci si poteva ammalare di sabato! Così, scaricato dall'ambulanza che se ne tornò indietro da dove era venuta, mi sedetti nell'atrio in attesa, con la faccia gonfia e il mio borsone pieno di libri (volevo studiare e non perdere il corso). Ad un tratto arrivò una vecchia (ma veramente vecchia) suora che mi chiese cosa facessi li seduto. Così gli mostrai il viso gonfio e gli dissi che ero stato ricoverato in quel luogo mostrandogli la relativa documentazione. Per tutta risposta mi mollò un ceffone proprio sulla parte gonfia del viso, facendomi vacillare. Mi gridò a mò di strega che il sabato non era giorno di ricovero, che avrei rubato il pane agli altri ricoverati(?). Non so come mi trattenni! Pensai:"ora la prendo per il collo e la strozzo"!. Fortunatamente, attirato dalle urla dell'isterica e arteriosclerotica vecchia suora, arrivò l'ufficiale di guardia che, chieste spiegazioni, congedò la suora dicendomi d'aver pazienza. Chiesi all'ufficiale di chiamarmi un taxi perchè non intendevo restare lì un minuto di più. Volevo essere ricoverato all'ospedale civile di La Maddalena. In qualità di sottufficiale ero assistito dall'ENPAS e, quindi, potevo fruire dell'assistenza pubblica. Così fui ricoverato all'ospedale civile e, dopo un mese di intense cure, tornai alle Scuole CEMM (Corpi Equipaggi Militari Marittimi). Il corso andò benissimo. Diedi gli esami e, avendo ottenuto ottimi voti che mi classificarono tra i primi cinque del corso, mi venne offerta la possibilità di scegliere la destinazione. La mia scelta fu l'Incrociatore Lanciamissili Andra Doria di base a La Spezia. Sarei imbarcato il 15 luglio 1973......ma questa storia la racconterò in seguito.

mercoledì 8 aprile 2009

Qualcuno, forse per interesse, mi accuserà di protagonismo o vittimismo. Niente di tutto questo. Quando certe verità non si vogliono udire si cerca di coprirle con uno strato di illazioni, per usare un termine gentile. Ma qui qualcosa è già stato coperto: sono i morti! Pedine inconsapevoli facenti parte di un sistema che serviva soltanto ad alcuni, a costruire carriere sfavillanti colme di medaglie e riconoscimenti, di belle parole, di sfarzose cerimonie e di fanfare mentre, i veri protagonisti, lavoravano dietro le quinte respirando amianto e liquidi maleodoranti. Oltre il danno, la beffa! Ho sempre sentito dire da amici o conoscenti:" voi siete dei privilegiati, buon stipendio, bella divisa, sempre puliti, in ordine". Se avessero saputo cosa si nascondeva dietro qull'apparenza di "agiatezza" : umiliazioni di ogni genere, senza alcuna tutela. Chi era al comando poteva disporre di noi praticamente al cento per cento. Ricordo un BASTARDO( lasciatemi passare questo aggettivo perchè, l'interessato, se lo merita tutto)che poi era il mio capo macchinista in locale "macchine di prora" dove regolarmente facevo i miei turni di guardia in navigazione e che, al rientro in porto e con i macchinari, le tubazioni e quant'altro bollenti mi costringeva ad infilarmi in sentina (la parte più bassa di una nave dove si raccoglie di tutto, acqua sporca, olii, nafta etc. etc.) facendo la biscia per andare a pulire. Ogni volta mi ustionavo in varie parti del corpo e, purtroppo, non potevo lamentarmi con nessuno: se lo avessi fatto per me sarebbe stata la fine di ogni prospettiva. Questo psicopatico bastardo era un sardo (non ho assolutamente nulla contro gli amici sardi)del quale ometto il nome perchè potrebbe essere morto, magari all'inferno! Ricorderò per sempre quei sei anni trascorsi a bordo della Fregata (o fregatura?) Castore proprio grazie a questo bastardo. Spero legga queste parole e si riconosca! Ero ormai arrivato al limite della umana sopportazione, non sapevo più cosa fare e così, disperato, ricevuto l'ennesimo ordine di pulire la sentina, presi una bottiglia di whisky, mi infilai sotto il gruppo turbo riduttore delle turbine, nel punto più basso e quasi inaccessibile e cominciai a bere, a bere (pensate che, ancora oggi, sono praticamente astemio). Persi i sensi. Non so come riuscirono a trovarmi. So che mi risvegliai tre giorni dopo all'ospedale militare della Spezia. Ero stato in pericolo di vita. Mi venne a trovare il comandante che, per questa vicenda rischiava un'inchiesta e la carriera, volle sapere il perchè di quel tragico gesto. Spiegai, con grande timore, le mie ragioni e fortunatamente, fui ascoltato. Il bastardo fu sbarcato di lì a breve e, viva Dio, non lo rividi mai più. Quando tutto ciò accadeva avevo solo 18 anni! A distanza di tanti anni (42) è ancora vivo in me il ricordo di ciò che vi ho svelato. Sento ancora sulla mia pelle il dolore di quelle bruciature e, testimoni silenziose, alcune cicatrici sono ancora su di me, fedeli compagne di una vita a volte invivibile. Mi costa fatica parlare di queste cose. Sono troppo personali, troppo intime. Nemmeno mia moglie o i miei figli ne sono a conoscenza. Non so cosa potrebbero pensare. Spero non leggano mai queste parole.
Pietro Serarcangeli

lunedì 6 aprile 2009

Quanto possiamo ancora sopportare?

Dopo aver speso la propria vita dedicandosi ad un lavoro (qualunque esso sia stato) per dare alla propria famiglia, ai propri cari, un'esistenza dignitosa, che permettesse di trascorrere una vita degna di questo nome ti ritrovi, di punto in bianco, con un verdetto di colpevolezza e di morte in mano: DI COLPEVOLEZZA perchè, da ragazzo (io avevo 16 anni o poco più) decisi, su consiglio di certi amici di famiglia, di intraprendere la vita militare e, questo, ha fatto di me un colpevole tant'è che sono considerato "diverso" da come sarei potuto essere. Fu una decisione presa sulla base della maturità di quell'età e cioè scarsa. Ma, anche allora come oggi, il lavoro scarseggiava. Studiavo all'istituto elettrotecnico "E.Fermi" e pensavo che, quel diploma, potesse garantirmi un'occupazione. No, non era così. Da qui la decisione che mi avrebbe fatto trascorrere in Marina una lunga fetta di vita. Pesante, sia dal punto di vista lavorativo che psicologico. Una vita che non ti lasciava possibilità di programmare un futuro, una tua vita privata. Oggi eri qui e domani là. Dopodomani chissà. E poi il lavoro: buttato nelle viscere della nave, davanti a una caldaia bollente e puzzolente di nafta pesante, a 60°C di calore (d'inverno) dove, a causa del mare in burrasca e del puzzo, buttavi fuori quello che nello stomaco non avevi, buttavi fuori l'anima. E, senza saperlo, respiravi IL NEMICO!Da qui il verdetto di MORTE! L'amianto era in ogni dove. Tubi di ogni dimensione ne erano rivestiti. Le vibrazioni degli organi meccanici si trasmettevano ad essi che, a loro volta, rilasciavano la maledetta polvere che iniziava a ficcarsi e a minarti i polmoni. Se solo avessi saputo! Oggi quella mia scelta è diventata un sinonimo di colpevolezza: "e chi ti ha detto di fare il militare?" E' vero, sono colpevole! Lo sono forse come il ferroviere o il muratore che montava i tetti in eternit o all'operaio che estraeva amianto dalle viscere della terra. Tutti colpevoli alla stessa maniera e con lo stesso verdetto di morte in mano. Perchè, cari amici, l'amianto, non facciamoci illusioni, non lascia scampo! E' una bomba a tempo! Sei già morto anche se cammini ancora! E sei morto anzi, torturato, perchè il tarlo ti è entrato nel cervello e non ti molla più. Cerchi di non pensare e poi, come una mano invisibile che ti afferri, sei di nuovo li a pensare. Io lo faccio più volte al giorno, anche mentre sono al lavoro ma, purtroppo, il momento peggiore arriva la notte: mentre sei li che tenti di prender sonno la mente vaga e torna al passato e lo collega al presente e tu sbarri gli occhi e ti domandi:"perchè proprio a me?" E la vita non è più vita e allora ti circolano nella mente pensieri lugubri che tenti di scacciare e non ci riesci perchè la mano invisibile è sempre lì che non ti concede un attimo di tregua. Quanto, quanto a lungo questo calvario? Giorni, anni? Quanto a lungo dovrò ancora gridare la mia disperazione che non giungerà mai a coloro che mi hanno messo in queste condizioni e, come me, centinaia di miei ex colleghi partiti per un viaggio senza ritorno. L'ultimo! Silenziosi protagonisti di una tragedia che lo Stato vuole fortemente ignorare. Loro sono andati via con dignità, con doverosa compostezza come, durante la Loro carriera militare, era stato Loro insegnato: niente proteste, niente ribellioni, solo il dovere! E Loro hanno obbedito fino in fondo, con dignità lasciando nel dolore e nello sconforto figli e mogli dignitosi. Di tutta questa tragedia parlerò ancora a lungo. Conoscerete particolari che vi faranno gridare, increduli, allo scandalo!
Pietro Serarcangeli

domenica 5 aprile 2009

Perchè tanta ingiustizia?

Cari amici,
oggi a 59 anni suonati sono qui a pormi una domanda: perchè tanta ingiustizia? Perchè vengono sistematicamente calpestati i diritti di coloro che li hanno conquistati a prezzo di pesanti sacrifici? Perchè tanta discriminazione proprio da coloro che si riempiono la bocca di belle parole, che professano e auspicano la pace e poi...................... sono proprio i primi a fare esattamente il contrario. Io sono un APOLITICO. La mia dottrina è: rispettare tutti e tutto per essere rispettato. Io credo nel prossimo, nella solidarietà e nella bontà dell'essere umano. Questa, a mio credo, è la strada giusta per un mondo migliore. Un giorno scriverò la mia storia qui, su questo blog. Una storia semplice di un uomo semplice, senza altisonanze ne protagonismi fuori luogo; sarà un racconto vero di una vita vera e quello che scriverò forse a qualcuno non piacerà, anzi darà proprio fastidio.Un giorno scriverò di mare e di uomini e di sentimenti e di sofferenze..........a presto!
Pietro Serarcangeli